Scopri l'Italia attraverso i suoi torroni: un viaggio tra Cremona, L'Aquila, Sardegna e Avellino, esplorando le diverse varianti di questo dolce tradizionale e la sua storia affascinante.
Un viaggio tra profumi di miele e note tostate, tra botteghe che resistono e feste di piazza. Un assaggio d’Italia attraverso i suoi torroni: storie, luoghi e una sorpresa irpina che arriva solo quando il palato è pronto a riconoscerla.
Il bello del torrone è la sua semplicità. Pochi ingredienti. Miele, zucchero, albume, frutta secca. Poi il fuoco lento e la pazienza. Ogni regione ha una firma, e chi viaggia lo capisce dal primo morso.
A Cremona, il classico resta un faro. Croccante, chiaro, con mandorle o nocciole e copertura in ostia. La leggenda lo fa nascere nel 1441 per le nozze di Bianca Maria Visconti, ma non esistono prove certe: è una storia affascinante, non un dato. Quello che invece è documentato è la Festa del Torrone di novembre, sostenuta dal Comune e dagli operatori storici: bancarelle, sfide tra maestri, dimostrazioni in piazza. È un rito urbano che dice molto sulla tenacia dell’artigianato lombardo.
A L’Aquila il torrone tenero al cioccolato ha riscritto le regole dall’Ottocento, grazie alle famiglie Nurzia che l’hanno reso famoso: impasto morbido, cacao, nocciole intere, profilo elegante. È il pezzo che porti a cena e sparisce prima del caffè. In Abruzzo questa variante è un capitolo a parte della pasticceria locale, citata in guide e archivi d’impresa.
In Sardegna la voce è quella di Tonara. Qui molti torronai lavorano solo con miele sardo e frutta secca: mandorle, noci, nocciole. Niente sciroppi, niente aromi. La tessitura è elastica, bianca, profumata. Nei giorni della Sagra (tradizionalmente a Pasquetta, come riportano Comune e Pro Loco) le lame tagliano barrette calde in un profumo di corbezzolo e macchia mediterranea. Una signora, anni fa, mi porse un pezzetto appena tolto dal paiolo di rame: “Qui il miele comanda”, disse. Aveva ragione. Lo senti subito.
A Caltanissetta il vocabolario si allarga: pistacchi, mandorle di Avola, agrumi; il torrone convive con la tradizione araba della “cubbàita/giuggiulena”, un croccante di sesamo e miele. Le fonti locali raccontano di maestri che, ancora oggi, tostano in piccoli laboratori e lavorano a vista nelle feste patronali. È una scena che vale il viaggio.
Arriviamo ad Avellino e dintorni, dove la parola chiave è una sola: nocciola. Ad Ospedaletto d’Alpinolo il torrone prende spesso la forma del “croccantino”: lamelle di nocciole tostate legate da caramello ambrato, talvolta ricoperte di cioccolato fondente. Le bancarelle intorno alla strada per Montevergine lo raccontano come un biglietto da visita del paese. Non esistono disciplinari ufficiali unici per questa specialità, ma la consuetudine è chiara: materia prima locale e taglio netto, asciutto, con un finale pulito. Se ami i sapori diretti, è un morso che crea dipendenza. E se vuoi spingerti oltre, cerca anche le versioni con la “avellana” in evidenza: il nome botanico della specie, Corylus avellana, non è un caso nella terra di Avella.
Materie prime da cercare in etichetta: percentuale di frutta secca (meglio sopra il 40%), tipo di miele, presenza o meno di sciroppi. Riferimenti affidabili: Festa del Torrone di Cremona (Comune di Cremona), Sagra del Torrone di Tonara (Pro Loco Tonara), archivi storici delle aziende aquilane dell’Ottocento. Dove i dati non sono pubblici, diffida delle leggende “assolute”.
Alla fine, il torrone racconta come ogni luogo addolcisce il tempo. Preferisci il bianco elastico di Tonara, la carezza cioccolatosa aquilana o il colpo secco del croccantino irpino? Io, davanti a un banco caldo, ascolto il rumore del coltello. Da lì capisco che viaggio sto per fare. E tu, quale taglio senti più tuo?