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Malattie autoimmuni, il segreto è nel sale

Una dieta povera di sale è utile non solo per contrastare la ritenzione idrica e ridurre il rischio di malattie cardiovascolari. Secondo uno studio condotto all’Università La Sapienza di Roma, dalla UOC di Reumatologia del Policlinico Umberto I, il sodio in eccesso potrebbe stimolare anche l’insorgenza di malattie autoimmuni.

Già in alcune ricerche precedenti di livello internazionale era stato evidenziato come il sale fosse in grado di infiammare alcune cellule. Da qui è partito lo studio italiano per capire se e in quale misura alcune malattie autoimmuni potessero essere stimolate dall’influenza del sale. In particolar modo l’artrite reumatoide e il lupus eritematoso sistemico.

Lo studio ha puntato l’attenzione su due linfociti: gli “infiammanti” T helper 17 e i loro antagonisti, i linfociti Treg, che hanno la capacità di inibire l’azione degli “helper”. I ricercatori hanno sottoposto alcuni pazienti affetti da una delle due malattie a una dieta povera di sodio. Nelle prime tre settimane hanno assunto bassi livelli di sale, poi per le due settimane successive hanno seguito una dieta rispettosa delle indicazioni dell’OMS, che consiglia un consumo di sale a massimo 5 grammi al giorno.

«I risultati del nostro studio – ha commentato il professore Valesini al ‘Corriere della Sera – confermerebbero che uno stile di vita sano, associato ad una dieta a basso contenuto di sale, contribuisce a controllare, addirittura a spegnere la risposta infiammatoria nei pazienti con malattie autoimmuni”.

Ma per avere dati più chiari e definiti sarebbe opportuno prolungare nel tempo la dieta iposodica. “È necessario valutare il binomio quantità di sale-risposta infiammatoria della malattia in un arco di tempo almeno di alcuni mesi, durante i quali cercheremo di capire se sia possibile raggiungere un miglioramento sulla riduzione della sintomatologia dolorosa e/o sul numero delle articolazioni coinvolte dalla malattia, anche attraverso un minore apporto di sale”.

Qualora i dati positivi venissero confermati ci si ritroverebbe dinanzi a nuove soluzioni per affrontare le malattie autoimmuni. Infatti attualmente l’approccio a queste patologie prevede terapie antinfiammatorie e farmaci immunodepressivi che vanno ad agire sui due suddetti linfociti. Invece l’azione positiva della dieta sulla cura della malattia “avrebbe un impatto importante soprattutto sulla qualità della vita dei pazienti, risparmiando loro possibili effetti collaterali anche pesanti”.