OMS: grassi omega-3 inutili contro ansia e depressione

I grassi Omega-3 sono promossi a livello globale per il loro presunto potere di alleviare l’ansia e la depressione. Ma gli scienziati dell’Università dell’East Anglia invitano ad un ripensamento dopo un ampio studio clinico.

Hanno scoperto che gli omega-3 riducono il rischio di depressione solo dell’uno per cento per la depressione ed erano altrettanto insignificanti per l’ansia. Gli studi hanno coinvolto oltre 41.000 partecipanti che sono stati divisi in due gruppi. Il primo ha aumentato l’assunzione di omega-3 attraverso integratori di olio di pesce e l’altro ha mantenuto i normali livelli di consumo.

Dopo un periodo di 24 settimane, i cambiamenti nella loro salute mentale sono stati registrati attraverso indicatori “primari” come una diagnosi di depressione o indicatori “secondari” come la qualità della vita, lo stress di chi si prende cura e l’autolesionismo sulla base di questionari. La ricerca ha concluso che i grassi omega-3 – sebbene buoni per la salute – non hanno avuto effetti tangibili su depressione e ansia.

L’autore principale, il dott. Lee Hooper, ha invitato i medici a smettere di consigliare i grassi omega-3 per i pazienti affetti da depressione e ansia. Gli studi più affidabili hanno costantemente mostrato scarso o nessun effetto dei grassi omega-3 a catena lunga sulla depressione o sull’ansia e non dovrebbero essere incoraggiati come trattamento.La dott.ssa Katherine Deane, coautrice della School of Health Sciences della UEA, ha dichiarato: ‘Il pesce azzurro può essere un alimento molto nutriente come parte di una dieta equilibrata. Ma abbiamo scoperto che non vi è alcun valore dimostrabile nelle persone che assumono integratori di olio di omega-3 per la prevenzione o il trattamento della depressione e dell’ansia”.

Considerando le preoccupazioni ambientali sulla pesca industriale e l’impatto che sta avendo sugli stock ittici e sull’inquinamento da plastica negli oceani, sembra inutile continuare a deglutire compresse di olio di pesce che non danno alcun beneficio. Lo studio è stato finanziato dall’Organizzazione mondiale della sanità e pubblicato sul British Journal of Psychiatry.

 

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